Il sushi
Le origini del sushi
Nonostante il sushi sia generalmente associato alle tradizioni culinarie del Giappone, le origini di questo piatto vanno ricondotte alla Cina del VII secolo. In quel periodo, una necessità particolarmente sentita era rappresentata dalla conservazione dei cibi; una delle poche metodologie disponibili consisteva nello sfruttamento delle fermentazioni naturali.
Il pesce fresco veniva tipicamente pulito e sfilettato, pressato in mezzo a diversi strati di sale ed il tutto veniva ricoperto con dei pesi. Il processo di fermentazione durava fino ad alcuni mesi, ed al termine di questo periodo si otteneva pesce essiccato in grado di resistere a lungo ed essere, perciò, consumato anche a distanza di molto tempo. È proprio da questi processi di fermentazione anaerobica che nascono i due tipi di sushi detti narezushi e funazushi.
Accadde che, tuttavia, venne fatta involontariamente una scoperta a suo modo rivoluzionaria: se il pesce sfilettato veniva avvolto in uno strato di riso imbibito di aceto, il processo di fermentazione si compiva non più nel giro di mesi, ma di giorni. Il riso veniva poi gettato via, ed il pesce conservato; ma, durante i periodi più siccitosi e di carestia si prese l’abitudine anche di consumare il riso stesso: fu così che nacque il sushi. O, almeno, in questo modo nacque una forma ‘primitiva’ di questo popolarissimo piatto che si diffuse nelle zone asiatiche limitrofe, Giappone compreso. In particolare, sembra che furono i monaci buddisti a diffondere in tutto l’oriente le conoscenze riguardanti la produzione di pesce fermentato. Ed è proprio a causa della peculiare modalità di preparazione che si originò il nome di questo piatto: secondo un’arcaica forma grammaticale non più in uso, il termine sushi significa letteralmente: “è acido”.
L’utilizzo del pesce fresco al posto di quello fermentato è una ‘scoperta’ molto più recente, che risale al XIX secolo. Si racconta che un famoso chef di nome Hanaya Yohei stesse preparando un banchetto per un notevole numero di convitati ma che, ad un certo punto, si accorse di non avere preparato pesce a sufficienza per tutti gli ospiti. Decise così di utilizzare del pesce crudo direttamente dalla ghiacciaia, e per la seconda volta una scoperta casuale modificò il corso della storia del sushi: il cuoco si rese conto che il pesce crudo, scongelato, manteneva inalterate le sue caratteristiche di sapidità, ed inoltre veniva privato dei potenziali parassiti patogeni dal processo di congelamento. Fu così che il nacque il sushi come lo conosciamo noi: Yohei ben presto divenne una celebrità, inventando il nigirizushi: straccetti di pesce crudo serviti sopra a bocconcini di riso aromatizzato all’aceto e pressato.
Il sushi divenne da allora lo ‘street food’ del Giappone: numerosissimi erano i banchetti che lo vendevano per strada, ognuno in competizione con l’altro per ideare sushi sempre più colorati e gustosi. Una curiosità: all’epoca i banchetti che vendevano il sushi per strada avevano una tenda di colore bianco che, oltre ad offrire riparo dal sole e dalla polvere, serviva anche ai clienti per pulirsi le mani dopo aver mangiato. Quindi, le persone che dovevano scegliere presso quale banchetto acquistare del sushi, non avevano dubbi nel recarsi verso quello dotato della tenda più sporca: una garanzia sul numero di frequentazioni e – di conseguenza – sulla qualità del cibo servito. Ancora adesso, il nigirizushi è il tipo di sushi più frequentemente servito in Giappone.
Attualmente, il culto del sushi è diffuso praticamente ovunque e sono milioni gli appassionati di questa pietanza sparsi in tutto il pianeta; ad esempio, solo negli Stati Uniti dal 1970 ad oggi sono stati aperti più di 5000 ristoranti giapponesi. Anche l’Italia ha vissuto il boom della cultura giapponese, ed i ristoranti sono diverse centinaia, per un giro d’affari considerevole: purtroppo, in alcuni casi, non si tratta di giapponesi “autentici” ma derivano dalla riconversione di ristoranti cinesi.
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